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Emanuele Filini

Dall'iperealismo all'Informale

Quando, diversi anni or sono, vidi  per la prima volta le nature morte di Anna Paglia, l’impressione che ne riportai fu estremamente positiva. Una pittura che si inseriva nel grande filone iperrealista, senza però indulgere alla perfezione meccanica della riproduzione , ma mantenendo quelle caratteristiche pittoriche, sia compositive che cromatiche, che accentuavano la libera interpretazione del quadro anziché diminuirla, come spesso capita quando si affronta la sfida di rendere l’oggetto più reale del reale.

Colori caldi e vellutati, senza contrasti violenti, ma sfumature suadenti e intriganti che rendevano sensuali perfino le armoniose curve di pere, mele e vasellame vario. Si dice che l’arte non deve parlare agli occhi ma allo spirito, è vero, ma non si è mai preteso troppo da una natura morta, che per tradizione ha più funzione decorativa che altro (vedi i festoni di fiori e frutti che arricchiscono da sempre muri e soffitti delle case patrizie), e la decorazione è fatta apposta per accontentare soprattutto la vista. Le nature morte di Anna hanno sempre fatto eccezione, perché si basavano principalmente su un effetto visivo globale, piuttosto che su una descrizione puntuale e oggettiva.

Poi, da un giorno all’altro, hanno cominciato a fare capolino nel suo atelier, i primi quadri informali. Quale sia stato il motivo scatenante di tale cambiamento, è tutto da indagare.

Forse il desiderio di mantenere la forza della materia allo stato primitivo o forse l’impulso di poter liberare il colore da una finalizzazione oggettuale, fatto sta che le prime creazioni informali erano lì pronte per essere appese. Non si può nemmeno ipotizzare che per Anna l’informale sia stata la scorciatoia  per evitare il disegno, perché proprio questo è sempre stato uno dei  punti di forza della sua pittura.

Sicuramente un atto gestuale e liberatorio, sta alla base di questa conversione formale.

Ma, poiché in pittura come nella vita, sono i risultati quelli che contano, vediamo di analizzarli.

I volumi sono armoniosamente distribuiti nello spazio bidimensionale, i colori, ora molto più materici di quelli di un tempo, non sono mai stridenti con l’ambiente, l’assenza totale del disegno grafico, sostituito dalle forti e corpose pennellate di colore, appare quasi una provocazione, forse a sottolineare una rottura netta col passato.

L’impatto visivo finale è comunque sempre gradevole e accattivante, anche in assenza di facili compiacimenti formali, segno evidente di una maturazione espressiva che si realizza al di fuori di stilemi , certamente sicuri, ma diventati  col tempo, troppo vincolanti. Forse il modo migliore per tenersi alla larga da un decorativismo diventato ormai sterile e fine a se stesso

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